La sovranità dei popoli nell'Antica Roma

Nella storia dell’umanità, per millenni, i re, i papi, gli imperatori, per giustificare il loro dominio sui popoli dichiaravano di ricevere l’investitura dalle divinità e da queste la sovranità che è sempre stata considerata come il massimo grado di potere. Al di sopra, esisteva solo la divinità che comunque aveva demandato al re il potere assoluto, lo aveva investito quindi della piena sovranità. I popoli d’altra parte accettavano di buon grado questa investitura in quanto proveniva dagli stessi dei o dall’unico Dio in cui il popolo stesso credeva e accettandola si sentiva partecipe giurando fedeltà e sottomissione.

Qui vogliamo dimostrare che la sovranità, la forza sociale e l’humus culturale di ogni popolo hanno sempre condizionato e determinato i risultati che tutti i governanti hanno ottenuto per la conquista del potere. La tradizione romana vuole che il popolo anche se diviso in caste e per censo eleggesse tutte le cariche pubbliche che a loro volta erano tutelate contro eventuali lesioni della loro maestà.

Infatti Cicerone pur occupandosi di lesa maestà dichiara fra le righe che il potere proveniva dal popolo:” il crimen immunitae maiestatis poi definito crimen maiestae aut amplitudine aut potestate populi aut eorumquibus populus potestatem dedit, aliquid derogare” …“quelli a cui il popolo diede il potere”

Poi in epoca imperiale è sempre il popolo che per mezzo dei legionari acclama l’Imperatore.

Un interessante risvolto di questa tradizione la troviamo al momento dell’incoronazione di Carlo Magno (25 Dicembre 800 DC) dove le sole fonti storiche che sono il “Liber Pontificalis” per la Chiesa e il resoconto di Eginardo, storiografo dell’imperatore, cercano di arrogarsi solo a posteriori il merito dell’operazione. Si dice infatti che l’imperatore non ne sapesse nulla ma poi si presentò vestito da imperatore e per non allarmare l’imperatore bizantino, dimostrò di non essere contento per l’incoronazione. Comunque le due fonti ufficiali tacciono e pur comprensibilmente sul ruolo importantissimo, secondo alcuni storici, avuto dall’assemblea del popolo di Roma, chiaramente assemblea di notabili.

L’investitura e l’unzione di Carlo Magno da parte del Papa Leone III, in quel momento molto debole perché accusato di lussuria e spergiuro, poteva avvenire solo con una volontà dell’assemblea di autorità legate al popolo di cui l’imperatore era pur sempre investito del titolo di “Patricius Romanorum” e che poi venne acclamato “Carlo Augusto, grande e pacifico Imperatore dei Romani”.

Insomma, la volontà del popolo fu determinante ai fini dell’incoronazione per mezzo dei suoi notabili.

La sovranità popolare intesa come capacità di partecipazione alla vita pubblica ebbe un certo risveglio con la nascita dei comuni nel periodo medievale, con alti e bassi fino ad arrivare alle assemblee parlamentari del 1600 che cominciarono ad intaccare il potere assoluto delle monarchie. Arriviamo poi all’assolutismo di Luigi XIV con il famoso “lo Stato sono io”. Dietro questa affermazione anche se non è certo che sia stata pronunciata veramente, c’è comunque, l’imposizione della volontà del sovrano su quella del Parlamento.

Infatti, Luigi XIV intimò al Parlamento di Parigi la sospensione del dibattito sugli édits bursaux, proprio per imporre i decreti della corona che istituivano contributi straordinari.

Intanto con la rivoluzione francese comincia a emergere la sovranità del cittadino – Nelle demandes des habitants de la paroisse de Massy aux Etats generaux de 1789 troviamo “Il cittadino è colui che ha diritto (di partecipare) alla formazione e al mantenimento delle leggi” –

Quindi torniamo all’assolutismo di Napoleone che, riferendosi alla corona ferrea simbolo della sovranità assoluta, incoronandosi da solo, dichiarava “Dio me la data e guai a chi me la toglie” (1805, Duomo di Milano).

Solo con le costituzioni si arriverà ad ammettere nelle supreme leggi che:

“la sovranità appartiene al popolo” ed attenzione! “che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (Art.1 Cost.). In pratica ogni cittadino è pienamente sovrano su tutti i suoi diritti quando non trova ostacoli nel momento in cui deve esercitarli.


Lesa maestà anche per l’elettorato

L’ordinamento giuridico prevede diverse norme a difesa delle più alte cariche dello Stato. Siccome la sovranità delle istituzioni apicali dello Stato in primis del Parlamento, sono espressione e derivazione della sovranità popolare, allora sembra indispensabile arrivare anche a norme in difesa della sovranità popolare stessa. Si è visto che l’unica difesa possibile della sovranità del popolo può avvenire solo con la legge elettorale.

Infatti, la sovranità (che appartiene al popolo) si può ledere solo nel momento in cui l’elettorato con le elezioni deve cederla al Parlamento.

Non abbiamo la protezione legislativa della sovranità popolare che si ha invece per tutte le istituzioni dello Stato:

  • l’articolo 278 del Codice Penale, che punisce con la reclusione da 1 a 5 anni chi offende l’onore o il prestigio del presidente della Repubblica
  • l’articolo 343 prevede la stessa pena per chi offenda un giudice in udienza;
  • dal 2009, rischia fino a 3 anni di carcere anche chi insulta un pubblico ufficiale (articolo 341 bis).

L’azione è la stessa in tutti i casi: offendere un rappresentante dello Stato.

Lo stesso reato assume nomi diversi: il primo, quello fatto al presidente, si chiama “vilipendio” (considerare vile); gli altri 2 reati sono chiamati “oltraggio” (andare oltre).

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